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L’inflazione del titolo di “Consulente”: quando l’arroganza supera la competenza

  • Immagine del redattore: Simone Marchetti
    Simone Marchetti
  • 24 mar 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Negli anni in cui bastava smanettare con una copia pirata di Photoshop per partorire un logo e autoproclamarsi “Founder & CEO” di un’idea mal definita, l’illusione dell’imprenditoria personale sembrava già al suo apice. Eppure, il biennio 2020-2021 ci ha mostrato che si può andare oltre: oggi basta poco per fregiarsi del titolo di “Consulente”.


Una parola potente, se presa sul serio. Ma è proprio questo il punto: non lo è quasi mai.


La definizione è semplice, e non dovrebbe lasciare spazio a fraintendimenti. Un consulente è un professionista che, grazie a competenze acquisite e consolidate nel tempo, offre supporto strategico o operativo in un campo specifico. Lo dice Wikipedia, lo ribadisce la Treccani. Ma il problema non è nella definizione: è nell’uso distorto e inflazionato che se ne fa.


Viviamo un’epoca in cui il digitale ha abbassato molte barriere, anche quelle che forse era meglio tenere ben salde. Troppi, infatti, confondono l’accesso all’informazione con la padronanza della materia. Bastano un paio di contenuti visti online, qualche parola d’effetto presa da un post su LinkedIn, e ci si sente subito pronti a “vendere consulenze”. Senza alcuna reale esperienza, senza risultati dimostrabili, senza nemmeno la minima consapevolezza di cosa significhi davvero seguire un cliente.


Il web ha creato una bolla pericolosa: quella in cui l’arroganza è amplificata e il senso critico è ai minimi storici. È il regno dell’improvvisazione, dove chiunque si sente legittimato a consigliare, spiegare, istruire. Ma la consulenza non è un vestito che si indossa per sembrare importanti, né un'etichetta da appiccicare per fare più fatture.


Essere consulenti è un percorso, non un titolo da esibire. Vuol dire aver affrontato casi complessi, aver commesso errori e averne compreso le lezioni. Significa saper leggere tra le righe di un mercato, costruire strategie efficaci, dialogare con clienti reali e saperli guidare nei momenti critici.


Chi si inventa consulente senza questa profondità manca innanzitutto di rispetto a chi ha davvero fatto questo percorso. E cosa ancora più grave: inganna i clienti, che si affidano in buona fede a chi non ha gli strumenti per aiutarli.


E no, non basta aver ottenuto buoni risultati per qualche mese, né aver seguito tre corsi online e aver letto due articoli ben scritti. La vera consulenza nasce dall’esperienza concreta e dalla capacità di trasformare questa esperienza in valore per gli altri.


Per questo, prima di definire voi stessi “consulenti”, fermatevi un attimo. Chiedetevi se avete davvero vissuto abbastanza sul campo, se sapete affrontare problemi reali, se siete in grado di accompagnare qualcuno in un percorso complesso con consapevolezza e responsabilità.


Il titolo non basta. Servono competenza, visione, dedizione. E soprattutto, servono anni. Non settimane.


Portate rispetto ai ruoli. E se non siete ancora pronti, abbiate almeno l’umiltà di riconoscerlo. Perché il mondo non ha bisogno di altri “esperti improvvisati”. Ha bisogno di professionisti veri.

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