Due parole sull'Intelligenza Artificiale
- Simone Marchetti
- 15 gen 2024
- Tempo di lettura: 3 min
C’è qualcosa di nuovo nell’aria. Lo si percepisce come un ronzio sommesso, che cresce giorno dopo giorno, e che ormai non possiamo più ignorare. L’Intelligenza Artificiale — AI, IA, chiamatela come volete — non è più un tema per addetti ai lavori o visionari della Silicon Valley. È qui, tra noi, e sta ridefinendo i confini di ciò che significa essere umani.
Per lungo tempo ho osservato, studiato, ascoltato. Ho accumulato pensieri e sensazioni su questo cambiamento epocale, ma solo ora sento il bisogno — forse il dovere — di parlarne davvero. Perché stiamo vivendo qualcosa di grande, di immenso, una trasformazione così radicale che, a mio avviso, nemmeno l’arrivo di internet può reggere il confronto.
Non possiamo prevedere con certezza dove ci condurrà questa rivoluzione. La verità? Nessuno lo sa. Non gli esperti, non i teorici, non chi l’IA la sviluppa ogni giorno. Possiamo solo navigare nell’incertezza, lasciandoci guidare da intuizioni, speranze e — inevitabilmente — da una certa dose di timore.
Eppure, una cosa è chiara: questo cambiamento non si fermerà. Non perché non lo vogliamo, ma perché non possiamo. La velocità con cui l’Intelligenza Artificiale evolve è superiore alla nostra capacità di comprenderla. È una valanga che scende a valle: puoi cercare di deviarla, forse rallentarla, ma non puoi fermarla.
Perché siamo fatti così. L’essere umano è sempre stato affascinato dal comfort, dalla possibilità di fare meno fatica, di delegare, di superare i limiti con l’aiuto della tecnologia. E ogni grande invenzione — dalla ruota alla stampa, dal motore a combustione fino al computer — ci ha regalato più comodità. L’IA non farà eccezione. Sarà accolta, integrata, normalizzata.
E poi c’è un altro motore potentissimo: l’avidità. Mentre alcuni chiedono pause di riflessione, come ha fatto Elon Musk insieme ad altri pensatori, le aziende e i privati più rapidi hanno già capito che l’IA non è un gioco. È uno strumento potentissimo per ottimizzare, produrre di più, guadagnare meglio. E in un mondo governato dal profitto, chi davvero si prenderà il lusso di fermarsi?
È qui che nasce la sfida. Perché ciò che ci attende non è solo un salto tecnologico: è un salto antropologico. Molte professioni scompariranno. Altre, del tutto nuove, emergeranno. E chi non saprà adattarsi, rischia di restare indietro. Non è una minaccia, è un dato storico. È sempre andata così, e sempre così sarà.
Guardatevi intorno: ChatGPT è solo l’inizio. Programmi che generano immagini dal nulla, software che leggono i video e ne ricostruiscono lo spazio in 3D, sistemi di guida autonoma che potrebbero sostituire intere categorie di lavoratori, tecnologie mediche capaci di diagnosticare e curare con precisione quasi inumana. È tutto già qui. Sta succedendo ora.
E in mezzo a tutto questo, siamo noi. Piccoli, fragili, curiosi. Alcuni pieni di entusiasmo, altri di paura. Alcuni pronti a salire sulla cresta dell’onda, altri che sperano di resisterle. Ma nessuno, davvero nessuno, potrà restare neutrale.
C’è chi dice che potremmo diventare sempre più soli, alienati, disumanizzati. Forse. O forse no. Forse ci libereremo del lavoro come necessità e torneremo a vivere per pensare, per creare, per contemplare — come i filosofi greci. Chissà. L’unica cosa certa è che il futuro arriverà, e sarà molto diverso da tutto ciò che conosciamo oggi.
Personalmente, vivo tutto questo con un misto di incanto e timore. C’è qualcosa di quasi mitologico in questa rivoluzione. Come se stessimo aprendo un portale verso una nuova era, e stessimo sbirciando oltre il velo del possibile.
E allora mi torna in mente una frase antica, di Eschilo: “Il futuro lo conoscerete quando sarà arrivato, prima di allora dimenticatelo e concentratevi sul presente.” Perché è qui, nel presente, che possiamo scegliere di prepararci, di crescere, di accogliere ciò che verrà con lucidità e coraggio.
Stiamo entrando in un tempo che verrà ricordato nei secoli. Un’epoca di meraviglia, di cambiamenti inimmaginabili, di possibilità che sfiorano la fantascienza. E noi, noi siamo tra i pochi fortunati che potranno dire: “Io c’ero, quando tutto è cominciato.”