Come parlare di Formula E senza cadere nel ridicolo (e magari capirci qualcosa in più)
- Simone Marchetti
- 14 apr 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 6 giorni fa
Sarà l’effetto scenografico del tracciato cittadino di Roma, sarà la regia impeccabile del buon Alejandro Agag, ma c’è stato un momento – breve, ma reale – in cui la Formula E è sembrata interessare (quasi) tutti. Anche chi normalmente confonde un overcut con un taglio di capelli ha sentito il bisogno di dire la sua.
Poi, come sempre, tutto svanisce in una nuvola di commenti superficiali e battute da bar sport. E si torna al solito ritornello: “non fanno rumore”, “sembrano giocattoli”, “non è vero motorsport”.
Ma se vogliamo davvero parlare di Formula E – e più in generale di motorsport elettrico – senza fare la figura degli sprovveduti, forse è il caso di fare un passo indietro. O meglio: di cambiare prospettiva.
Chi scrive è cresciuto respirando miscela e ascoltando il canto acuto dei due tempi. Ama i V6, i V10, i V12, e ancora oggi si emoziona con un cambio a leva più che con qualsiasi paddle al volante. Per non parlare poi dell'ipocrisia che riguarda elettrificazioni di massa e la parola "sostenibilità" abusata e snaturata per specularci su. Ma qui non si tratta di nostalgia o di scegliere da che parte stare.
Si tratta di guardare al motorsport elettrico con onestà intellettuale, senza scivolare nei soliti cliché da puristi della domenica. Proviamo allora a smontare, con calma, due dei luoghi comuni più abusati.
“Una vera auto da corsa DEVE fare rumore”
Che il rombo di un motore termico faccia venire la pelle d’oca, non si discute. Ma davvero pensiamo che il fascino delle corse sia tutto lì? Il motorsport è fatto di uomini, idee, soluzioni tecniche rivoluzionarie. È storia, innovazione, rischio calcolato. La Formula E, pur con i suoi limiti, è oggi una delle arene più stimolanti per i costruttori: tecnologia avanzata, sfida tra giganti industriali, sperimentazione ad alto impatto.
Che poi, diciamocelo: se fosse solo questione di decibel, dovremmo tutti seguire le gare di dragster della NHRA. E invece no. Con tutto il rispetto, c’è di più.
“Sembrano auto telecomandate”
Sì, le Formula E sono meno potenti delle Formula 1. Ma il confronto non regge: sono categorie con finalità diverse. La Formula E non nasce per battere record di velocità pura, ma per testare e sviluppare tecnologie legate all’efficienza, alla gestione energetica, al recupero. Un laboratorio mobile per una delle tecnologie di mobilità del futuro.
E no, non è vero che “non c’è guida”. Chiunque abbia provato a spingere 300 cavalli su un tracciato cittadino stretto e scivoloso sa che serve talento, controllo e una bella dose di pelo. Paragonarle a delle macchinine radiocomandate è offensivo per chi corre, e riduttivo per chi ascolta.
Il vero problema? Il confronto non esiste. Potremmo usare queste differenze per avviare un dialogo intelligente: motorsport termico ed elettrico non sono nemici, sono semplicemente espressioni diverse di un'evoluzione tecnologica. E invece preferiamo chiuderci nel nostro recinto, difendendo i gusti personali come fossero verità assolute.
Ma questa attitudine – quella di gridare “questo è meglio!” senza ascoltare il resto – dove ci ha portato finora? Quali progressi nascono dal rifiuto sistematico dell’altro punto di vista?
A voi la riflessione.
In sintesi: non si chiede a tutti di amare la Formula E o qualche altra foma di motorsport elettrico. Si chiede, semmai, di parlarne con un minimo di cognizione. Di non farsi bloccare da impressioni superficiali. Di provare a vedere l’insieme.
Perché anche se non ha il rombo di un V10, pure la Formula E – e tutto ciò che rappresenta – ha qualcosa da dire. Sta a noi decidere se ascoltare… o continuare a sembrare scemi.