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Analisi di chi non può prendere posizione

  • Immagine del redattore: Simone Marchetti
    Simone Marchetti
  • 25 set 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Per la prima volta – e con una certa esitazione – sento il bisogno di dichiararmi pubblicamente per ciò che sono: un "liberale", come direbbero alcuni. Non è una confessione, né una provocazione. È solo un atto di sincerità. Un punto di partenza per tentare un’analisi onesta e lucida del panorama politico italiano, per quanto complesso e, lasciatemelo dire, desolante.


Perché farlo? Perché credo che condividere idee, dubbi e prospettive sia l’unico vero modo per alimentare il pensiero critico, quella risorsa fragile ma fondamentale che ci aiuta a distinguere tra la propaganda e la verità, tra l’urgenza e il rumore di fondo.


E allora, con un sorriso amaro, mi torna in mente una frase del professor Marco Bassani: “Queste elezioni per un liberale sono come un match sportivo in cui tifi per la sconfitta di entrambe le squadre.” Crudo, ma tremendamente vero. Perché non c’erano partiti liberali, non davvero. C’erano candidati degni, in alcuni casi. Ma non formazioni che difendessero con coerenza i valori fondamentali: proprietà privata, libero mercato, stato di diritto. Le basi, insomma. Quelle che in molti oggi considerano optional, quando non addirittura fastidi.


E no, non è snobismo o disinteresse verso la politica. Lavoro con l'Estonia, un Paese dove potrei tranquillamente votare tre partiti diversi senza sentirmi a disagio. Non è che io non voti per principio. È che in Italia, oggi, non trovo nessuno degno della mia fiducia.


La verità? Non mi fido. Perché nessuno parla seriamente dei problemi veri. Perché la sinistra urla al ritorno del fascismo e distribuisce bonus come fossero caramelle. Perché la destra si rifugia nella nostalgia dei "valori di una volta", senza mai chiarire quali siano, né come possano incidere sulla realtà. Perché le proposte sono spesso illogiche, irrealizzabili, scollegate da qualsiasi tipo di pragmatismo.


E in mezzo a tutto questo, la sensazione è di vivere in un Paese che non sa più distinguere tra propaganda e verità. Dove l’urgenza si misura in like, e la profondità in slogan. Dove la cultura politica si riduce al tifo, e ogni voce fuori dal coro viene etichettata, derisa, screditata.


Io vorrei un’Italia capace di ascoltare, di analizzare con lucidità, di capire la differenza tra un’idea emotiva e un dato supportato da fatti. Ma forse è chiedere troppo. Forse è un’utopia. Ma continuo a credere che chi ha a cuore questa visione, chi sa usare i mezzi di comunicazione per diffondere senso, logica, confronto, possa ancora incidere. Anche poco. Ma abbastanza da tenere accesa una luce.


E allora guardiamo, insieme, cosa è successo davvero. La sinistra piange un pericolo fascista che non esiste. Grida allo scandalo dei diritti perduti, quando il vero scandalo è la sua incapacità di capire perché abbia perso. Dopo aver diviso il Paese in buoni e cattivi, si rifiuta di assumersi responsabilità. Un copione stanco, ripetuto mille volte.


Dall’altra parte, la destra si presenta con un programma vago, intriso di retorica, nostalgico e spesso confuso. Parlano di valori ma senza nominarli. Di futuro, ma con lo sguardo fisso allo specchietto retrovisore. Nessun golpe, certo. Nessun ritorno al ventennio. Ma neanche nessun passo avanti.


E poi c’è il cosiddetto Terzo Polo. Che tanto “terzo” non è, e neppure così “polo”. Ma almeno, ogni tanto, propone qualcosa di sensato. Qualche idea concreta. Qualche dato. Qualche candidato competente. No, non è un partito liberale. Ma rappresenta forse l’unica realtà che non mi fa voltare lo sguardo con fastidio. Non ho fiducia cieca, ma spero possa essere un seme. Un primo tentativo. Una prova generale di qualcosa di più grande.


Infine, una riflessione amara. Leggo molti giovani che accusano i più anziani di aver tradito il Paese votando a destra, dopo essere stati “salvati” con i lockdown. Ma i dati, quelli veri (fonte: Istituto Ixè), ci dicono che gli anziani hanno votato in maggioranza a sinistra. E allora perché questa rabbia cieca? Perché sempre cercare un colpevole?


Dividere l’Italia in “noi e loro” è populismo, e il populismo è veleno. Viene da destra, viene da sinistra, e ha lo stesso volto: quello della semplificazione brutale, dell’etichetta facile, della lotta di classe che non funziona più, che non serve più, che ci condanna a un eterno presente fatto di accuse e rancori.


Eppure, in un tempo che corre veloce, che ci costringe ad adattarci in fretta, abbiamo bisogno di altro. Di visione. Di senso. Di idee che non abbiano paura della complessità.


Non so se le troveremo. Ma so che vale la pena cercarle.

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